| | | Renato è l'unico
Mi sento stanca, di quella stanchezza buona, profonda, lineare, fisicamente intatta e indisturbata, che si compiace del suo molle sopore. L'automobile mi riporta a casa. E' sufficiente socchiudere gli occhi, ed eccomi sola. Con un unico accompagnatore: Renato Zero e la sua musica.
Il mio amore per lui, che dura ormai da oltre trent'anni, nacque in sventagliate oasi di luce: al mare, in estate, lo ascoltai la prima volta; sempre al mare, tempo dopo, lo vidi in tv: ed era proprio Capodanno, un Capodanno del '78 trascorso ancora in famiglia, assieme a un cugino già adolescente. Poi ancora al mare, finalmente dal vivo. Allora esilissimo, irriverente, sfacciato, fin troppo provocatorio, un capolavoro di glam e di follia, il giovanotto nudo, come in seguito l’avrei chiamato, portava avanti una protesta tutta intima dove il sesso celava una spiritualità inattesa, da bimbo ferito.
Quel desiderio di colore non era nato forse in un’anima troppo costretta al buio? Di “anime buie” avevo appunto parlato in un post del maggio scorso ispirato a Salvami, brano antichissimo riproposto anche nell'ultimo tour di Zero, conclusosi poco prima di Natale. Lo scorso dicembre milanese è stato, a tutti gli effetti, un mese "renatesco", iniziato con l’imprevedibile Zero Day allo Iulm e suggellato da tre trionfali concerti. Renato – anche coreografo - ha concepito il palcoscenico come un immenso ventaglio, che si apriva e si chiudeva con la maestosità e la leggiadria di enormi ali di farfalla, dal ritmo cadenzato, solenne e mellifluo insieme; e impreziosito da ologrammi dove comparivano gli antichi costumi di scena e le copertine dei suoi numerosi album. Uno show essenziale ma ricco, di musica e di voce, talora potente talora carezzevole, sofferta e grintosa, ma mai invasiva, sempre calibrata.
Con la maturità Zero, che non è mai stato immune da certi barocchismi, sembra voler rinunciare all’orpello con la consapevolezza che, su quel palco, basta davvero solo lui. E avanza, anche. È significativo che abbia aperto questo suo nuovo percorso con Vivo, tratto da quell’album fatale che, da solo, gli avrebbe comunque regalato un spicchio d’eternità nel mondo della musica moderna: Zerofobia. Si trattava, già dal lontano ’77, d’un manifesto programmatico, tanto più efficace quanto involontario.
Renato è vissuto e sopravvissuto, spingendosi oltre sé stesso, accettando qualche compromesso secondo al...Read the whole post... |
|
| |